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Marco Cavina

Consilia : il modello di Andrea Alciato. Tipologie formali e argomentative fra mos italicus e mos gallicus

Résumé : On propose un examen de la structure dialectique des consilia sapientis pro veritate du droit commun, de leur évolution et de leurs « trois » différents styles entre Moyen Âge et Âge Moderne, en se concentrant en particulier sur l’œuvre et la pensée de Carlo Ruini (1456-1530), mais surtout de Andrea Alciato (1492-1550), qui se révèle très riche de nouveautés très intéressantes.

Mots-clés : Consilia, Alciat, Ruini

Abstract : We suggest a review of the dialectical structure of consilia sapientis pro veritate in civil law, their evolution and their « three » different styles between the Middle Ages and Modern Age, focusing in particular on the works and thought of Carlo Ruini (1456-1530), but above all of Andrea Alciato (1492-1550), which is revealed full of very interesting innovations.

Keywords : Consilia, Alciat, Ruini

Consilia doctorum, quae in causis dantur, nihil aliud sunt quam testimonia iuris, et doctores ipsi dicuntur testes iuris (Andreas Alciatus)

I. Consilia sapientis pro veritate

1. Testis iuris  : il maestro di ius commune interviene nel processo con i suoi responsi in quanto « testimone » del diritto comune. Egli porta in tribunale la testimonianza della dottrina e della propria autorità scientifica, entrambe degne di fede. Il successo storico dei consilia sapientis, dunque, fu maggiore nelle aree geografiche dense di Università, il che determinava più diretta influenza delle dottrine del diritto dotto sulle pratiche giudiziarie. Tra la fine del medioevo e l’inizio dell’età moderna fu il caso anzitutto dell’Italia, dove le raccolte di consilia sapientis divennero uno dei motori essenziali dello sviluppo del ius commune [1].

2. Come è noto, il consilium conobbe due forme. Il consilium sapientis iudiciale, indirizzato al giudice, fu nel diritto medievale una delle pietre angolari per la costruzione del « sistema » fra iura propria – diritto consuetudinario, diritto regio, diritto statutario etc. – e ius commune. Fu particolarmente diffuso nel medioevo e declinò con l’avvento del giudice/giurista, cioè tecnicamente preparato, nell’età moderna.

3. In questa sede, invece, intendo riflettere intorno ad alcune dinamiche storiche dei consilia sapientis pro veritate, i responsi preparati dal giurista su richiesta di una parte in processo o anche soltanto nella previsione di un processo. Il consilium era ufficialmente redatto come visualizzazione scientifica, e quindi imparziale, della fattispecie secundum ius commune. In quanto pro veritate, esso si distingueva concettualmente dalle allegationes degli avvocati che erano formalmente pro parte, cioé partigiane. Di fatto, però, il consilium, cosiddetto pro veritate, era lautamente pagato dal cliente e non poteva certo essergli svantaggioso. In un sistema giuridico fondato sulle dottrine dei giuristi, le raccolte dei sedicenti consilia pro veritate rappresentavano un genere letterario che – troppo legato agli opportunismi dei clienti – introduceva in dottrina, una volta che i consilia erano pubblicati, incertezze e contraddizioni. Nel XVI secolo fu il tema di una celebre polemica : Andrea Alciato era contrario a considerare i consilia come prodotto di scienza a causa del loro carattere occasionale e mercantesco, Tiberio Deciani era favorevole [2]. I contorni dello scontro sono ben noti. Tuttavia, alcuni aspetti essenziali del pensiero alciateo sui consilia sono stati dimenticati dalla storiografia ed è su questi che intendo invece soffermarmi.

4. Anzitutto occorre sottolineare che l’Alciato percepiva come una novità non remota l’affermazione dei consilia pro veritate quale attività primaria del professore di diritto. I consilia apparvero sporadicamente sin dalle origini della Scuola di Bologna nel XII secolo, ma la loro importanza si consolidò soltanto all’epoca di Baldo degli Ubaldi nella seconda metà del XIV secolo e divenne egemonica fra ‘400 e ‘500, con la generazione di maestri come Bartolomeo Socini e Carlo Ruini. Scriveva l’Alciato :

Domizio Ulpiano, che compose tante opere nel nostro diritto, pubblicò soltanto due libri di responsi. Gli antichi Azzone, Accursio, Dino, Bartolo composero pochissimi consilia, e fecero la stessa cosa importantissimi giuristi di quel tempo. Si deve invero perdonare Baldo, il quale, poiché percepiva un modico stipendio in patria (infatti a Perugia sono pagati bassi onorari), impiegava grandissima parte del suo tempo libero a redigere consilia, al fine di non vivere in modo meno opulento di quanto il suo valore meritasse, e tuttavia è abbastanza chiaro che fu in grado di far fronte a entrambe le attività, giacché scrisse talmente tanti volumi di interpretazioni che non trascurò nessuna parte del nostro diritto. Ma, diceva Paolo Pico, che cosa diremo di Socini, Della Corgna, Ruini, Parisio, che lasciarono enormi volumi di responsi, piccoli di interpretazioni ? [3].

II. Sottigliezza/quantità/brevità : i differenti stili di redazione dei consilia pro veritate secondo Andrea Alciato

5. Dal punto di vista della struttura e della dinamica argomentativa dialettica il consilium – simile ad una sentenza motivata – non era poi molto lontano dallo stile con cui erano redatti i commentari tradizionali « al modo di Bartolo ». Tre erano le argomentazioni fondamentali utilizzate : sulla base della legge (ex lege), sulla base della ratio (ex rationibus), sulla base della autorità dottrinale di un giurista (ex auctoritate). Ma non dobbiamo dimenticare che nella dottrina di ius commune della fine del medioevo e della prima età moderna divenne centrale il ruolo dell’argumentum ab auctoritate – diretto a individuare una verità « probabile », veritas probabilis [4]. I problemi pratici che ne conseguirono sul piano della incertezza del diritto furono affrontati, attenuati e non risolti con espedienti normativi « eterogiurisprudenziali » (cioé esterni alla dottrina, come fu il caso delle « leggi delle citazioni », con cui si limitavano per legge gli autori allegabili in processo), ovvero dottrinali « endogiurisprudenziali » (cioè interni alla dottrina, come fu il caso della communis opinio, per cui fra auctoritates contrastanti si considerava prevalente quella condivisa dal maggior numero di giuristi) [5].

6. Secondo l’Alciato, una delle chiavi per la classificazione e la differenziazione della metodologia dei consilia era proprio nel modo di porsi davanti all’argumentum ab auctoritate e alla communis opinio. Brevità/quantità/sottigliezza (brevitas / maior copia /subtilitas) sono i tre poli che secondo l’Alciato diversificano lo stile, il mos argumentandi, dei consiliatores du XV-XVI secolo :

Vi sono alcuni che [nel redigere consilia] ricercano una concisione simile a quella dei responsi degli antichi giuristi romani : è il caso di Dino, Oldrado, Pietro Ranieri. Vi sono altri che ricercano una gran massa di allegazioni d’autorità senza alcuna perspicacia […]. Altri ricercano le sottigliezze, e preferiscono immaginarsi in compagnia di Accolti, Socini, Ruini, ovvero per parlar più chiaro […] precipitarsi nei cieli e affannarsi intorno al sole [6].

7. Erano dunque tre i modelli stilistici dei consilia pro veritate secondo l’Alciato, identificati intorno al fulcro della posizione dell’autore di fronte all’arsenale tipologico delle argomentazioni giuridiche allegabili :

a. Sottigliezza (subtilitates). Il giurista, anche consiliatore, è « colui che inventa ». Si tratta dell’approccio tradizionale della scuola dei commentatori, per il quale si può ricordare la celebre massima, usata da Paolo di Castro – ma non solo da lui – : « [a dimostrare il vero] è sufficiente la mia autorità [sufficit auctoritas mea] »). Era il metodo con cui si era costruito il diritto comune nel Trecento, caratterizzato da una libera volontà creatrice da parte del giurista, che utilizzava il testo romano-canonico come « pretesto » legittimante per la costruzione di un diritto nuovo. In questa prospettiva lo spazio maggiore era riservato all’argumentum a simili e all’analogia in tutte le sue forme, strumenti più plastici nella giuridicizzazione della società. Si può ricordare, a questo proposito, la testimonianza di Bartolomeo da Verino, il quale a proposito di uno dei doctores subtiles, Carlo Ruini, scriveva che « il nostro maestro [Carlo Ruini] non imitò coloro che si sforzano di accumulare le cose scritte dai giuristi in vari luoghi – cosa che al giorno d’oggi per la sovrabbondanza di opere a stampa si ritiene abbastanza facile –, ma rivendicò a sè stesso le idee da lui sostenute con la sottigliezza dell’ingegno e con le proprie invenzioni » [7].

b. Quantità (maior copia). Il giurista, anche consiliatore, è « colui che accumula e riordina le opinioni proprie e altrui ». Si tratta dell’approccio, secondo Alciato, dei giuristi dei tempi nuovi, ossessionati dall’argumentum ab auctoritate, logorroici e prolissi (neotherici verbosi) : era ad un tempo lo stile più « facile » e oltretutto di maggior successo in tribunale, in quanto fondato sul setaccio delle auctoritates e sulla enucleazione della communis opinio. Rappresentava anche una risposta ad una pratica esigenza dei giudici. Essi erano naturalmente indotti a seguire la communis opinio, poiché, adottandola, si ponevano al riparo da ogni responsabilità civile o penale [8].

c. Brevità (brevitas). Il giurista, anche consiliatore, è « colui che si attiene concisamente allo spirito della lex », è il « testimone del diritto ». Si tratta di un approccio caratterizzato dal primato argomentativo della ratio legis e dei principia iuris, e conseguentemente da un forte ridimensionamento dell’argumentum ab auctoritate e della struttura dialettica del consilium. Secondo l’Alciato, era l’antico stile dei giuristi romani, ancora utilizzato dai glossatori e dai primi commentatori bassomedievali, ma esso corrispondeva anche – come vedremo – alle esigenze e alle proposte umaniste de iure condendo.

8. Schematizzando con qualche approssimazione, possiamo notare che le prime due categorie di consilia si segnalavano per un diverso dosaggio dei « tipi » di argomentazioni, ma per una medesima costruzione logica. La struttura dialettica – largamente egemone – dei consilia tradizionali del mos italicus rivelava una evidente affinità morfologica con la struttura della quaestio e degli stessi commentaria bassomedievali. Essi testimoniano una cospicua unità stilistica e argomentativa fra l’insegnamento universitario, la ricerca scientifica e la pratica giudiziaria. Tale struttura si manifesta – ovviamente fra molte varianti – in due modelli, a seconda dell’esigenza del consiliatore di « rispondere » ad uno o più « dubbi » giuridici del cliente :

Un dubbio (dubium)

A prima vista sembra che (Prima facie videtur) … [tesi respinta]

- In primo luogo perché (Primo) … [prima argomentazione]
- In secondo luogo perché (Secundo) … [seconda argomentazione]
- etc. ……

Ma nonostante quanto premesso io ritengo più vero il contrario (Sed praemissis non obstantibus contrarium verius puto)… [tesi sostenuta come « vera »]

- Infatti in primo luogo perché (Nam primo) … [prima argomentazione]
* Né è di ostacolo che (Nec obstat) … [critica degli argomenti allegati nella prima parte del consilium]
- In secondo luogo perché (Secundo) … [seconda argomentazione]
- etc. ……

Fatto tuttavia salvo un più assennato giudizio ritengo questo la verità (Salvo tamen saniore iudicio hoc vero puto) [formula di chiusura]

Pluralità di dubbi

Primo dubbio (dubium)

- Puto … [tesi sostenuta come « vera »]
* Né è di ostacolo che (Nec obstat) … [critica degli argomenti allegati nella prima parte del consilium]
* Né è di ostacolo che (Nec obstat) …
* etc.

Secondo dubbio (dubium)

- Puto … [tesi sostenuta come « vera »]
* Né è di ostacolo che (Nec obstat) … [critica degli argomenti allegati nella prima parte del consilium]
* Né è di ostacolo che (Nec obstat) …
* etc.

9. A prescindere dal caso della pluralità di dubbi, il consiliatore rinunciava talvolta – per ragioni varie – alla tipica struttura dialettica contra/pro e sviluppava direttamente la propria soluzione, spesso con le parole « omesse le argomentazioni verso le parti (omissis argumentis ad partes) », il che aveva luogo soprattutto quando il consilium redatto era soltanto accessorio ad un altro consilium principale – proprio o di altri – sulla stessa vertenza, di cui sviluppava soltanto alcuni profili.

III. La « disinvoltura » dei consiliatori e le contraddizioni mercenarie dei consilia pro veritate

10. Fra XVI e XVII secolo furono prodotti perfino dei trattati che enumeravano, a fini pratici, le contraddizioni interne alle raccolte a stampa di consilia. Pensiamo in particolare ai trattati di Girolamo Zanchi [9] e di Paolo Perremuto [10]. In essi erano diligentemente individuati tutti quei casi – e non erano affatto pochi – in cui un giurista si era contraddetto (est sibi contrarius) fra un consilium e l’altro da lui redatti, oppure si rivelava nei consilia in contraddizione con quello che aveva sostenuto nei propri commentaria. Il fenomeno non era certo strano ed era una quasi ovvia conseguenza di considerare opera di dottrina scritti, i consilia, che erano oggettivamente determinati dagli interessi del cliente e che potevano facilmente indurre il giurista a sostenere posizioni diverse da quelle insegnate come professore o anche diverse da quelle sostenute in altri tempi per un altro cliente con differenti esigenze difensive.

11. Ma si può perfino dimostrare che talvolta lo stesso giurista durante uno stesso processo – magari in gradi diversi e per diverse contingenze – arrivava a redigere consilia per le due parti contrapposte, e talvolta addirittura con argomentazioni semplicemente e meccanicamente « capovolte ». Quest’ultimo abuso – molto più raro ma significativo di quel che comportava includere i consilia nella dottrina di ius commune – si può documentare nel caso di Carlo Ruini, maestro del giovane Alciato all’ateneo di Bologna e considerato fra i massimi consiliatores del XVI secolo [11].

12. Abbiamo diverse fonti convergenti. Girolamo Zanchi, un giurista quasi contemporaneo al Ruini, ricordava con stupore – mentre ne analizzava un consilium – questa sua deplorevole pratica (« Addirittura di recente mi è stato portato un altro consilium, che si asserisce essere un manoscritto proprio di Carlo Ruini, il cui esemplare è stato reperito presso un certo dottore con il sigillo e con la sottoscrizione del Ruini. Tale consilium riguarda la medesima causa del consilium di Ruini qui pubblicato, e pure è indubbiamente contrario a questo, il che mi sembra incredibile » [12]). Anche le dicerie popolari, in un’età in cui la buona fama dei giuristi andava declinando, diffondeva e forse amplificava lo stesso « scandalo ». Scriveva il cronista Tomasino de’ Bianchi :

Questo homo [Carlo Ruini] haveva una letura in Bologna con salario de ducati 1200 l’anno e faceva consigli asai : se dice che per dinari consigliava in una causa lo actore e lo reo, uno contra l’altro per havere dinari. Questo homo haveva molto bene guadagnato per el corpo, secondo che se dice, per l’anima poi Dio el sa. Io penso che lui ha lasato quello che non haveria voluto lasare e portato con lui quello che non haveria voluto portare [13].

13. Il fenomeno si può dimostrare di fatto in due consilia, dove il Ruini affronta il problema della validità dell’imposizione di una certa pena in una causa a Lucca. Essi riguardano una questione interlocutoria concernente apparentemente la medesima causa. Certo è che argomentano due soluzione opposte, limitandosi a riposizionare le stesse argomentazioni nelle due diverse sezioni dialettiche del consilium, arrivando così a motivare le due soluzioni opposte :

Dubbio : se la pena di cui si tratta sia stata validamente erogata oppure no

C. Ruinus, Consilia sive responsa, Venetiis, 1579, l. 4 c. 113

invalidamente erogata [tesi rifiutata]
- il Consiglio degli Anziani non può privare del diritto di fare appello
- l’appello è nullo per difetti di forma sostanziali
- è un giudizio di delegati e non di arbitri
validamente erogata [tesi sostenuta] : il Consiglio degli Anziani ha operato validamente in virtù del principio del superiorem non recognoscens

C. Ruinus, Consilia sive responsa, l. 5 c. 85

validamente erogata [tesi sostenuta] : il Consiglio degli Anziani ha operato validamente in virtù del principio del superiorem non recognoscens
invalidamente erogata [tesi rifiutata]
- il Consiglio degli Anziani non può privare del diritto di fare appello
- l’appello è nullo per difetti di forma sostanziali
- è un giudizio di delegati e non di arbitri

IV. La proposta e il fallimento di un consilium « umanistico » : il consilium breve di Andrea Alciato

14. Il pensiero dell’Alciato, impregnato di legalis philosophia, si segnalò per una forte sensibilità per i problemi anche pratici del diritto [14]. Tale impostazione si ritrova anche nella sua posizione nei confronti della communis opinio. Se a livello « alto » egli è contrario al principio di autorità sulla base di un paradigma essenzialmente razionalistico, fattualmente la comune opinione gli sembra un espediente accettabile per risolvere i problemi forensi :

Nei pubblici consigli e in tutte le altre azioni umane, poiché gli uomini per natura hanno opinioni diverse, e tante sono le teste altrettanti sono i pareri, si è stabilito che si osservasse ciò che la maggioranza avesse stabilito : e benché talvolta, come scrive Tito Livio, la maggioranza schiacci la parte migliore, tuttavia non si poté fare altro, né individuare un altro rimedio ai dissensi e alle discordie [15].

15. Ed anzi nel 1528 Ulrich Zasius scriveva all’Amerbach che a suo parere l’Alciato « aderiva troppo alle comuni opinioni » [16]. Indubbiamente la posizione dell’Alciato, che svolse sempre l’attività forense di mala voglia, non fu mai nel senso di un attacco frontale e insensato alla ovvia dimensione pratica del diritto, bensì nel senso di una rigorosa distinzione di piani fra ricerca scientifica « disinteressata » e attività forense « mercenaria » [17]. Nella sua celebre polemica contro i consilia, come è noto, l’Alciato non condannò tanto il diritto dei giuristi di prestare consulenze in tribunale, ma il fatto che questi consilia venissero poi pubblicati in raccolte e posti sullo stesso piano autoritativo dei commentari e dei trattati, ai quali si sarebbe dovuto riconoscere ben altra imparzialità e scientificità.

16. A prescindere però da queste generali obiezioni, l’Alciato propose un consilium breve che si potrebbe definire « umanista ». Esso doveva accantonare due elementi tradizionali : la struttura dialettica contra/pro ed il culto irragionevole delle auctoritates, fissando la prevalenza argomentativa della ratio legis e dei principi generali del diritto comune. Lo stesso Alciato sottolinea spesso nei responsi la propria brevitas come caratteristica specifica del suo stile [18]. Queste dichiarazioni potrebbero sembrare retoriche, ed effettivamente – a quell’epoca – ricorrono anche in opere e responsi di consiliatori che concisi non lo furono affatto. Tuttavia nel caso dell’Alciato una certa fondatezza queste dichiarazioni la possiedono. Molti suoi consilia si caratterizzano per una evidente concisione, in particolare con un forte contenimento degli argumenta ab auctoritate, come dimostra anche qualche sondaggio comparativo in casi per i quali ciò è stato possibile. Per limitarci ad un esempio fra i tanti possibili, possiamo riportare lo svolgimento di un caso di duello giudiziario d’onore – materia in cui l’Alciato era una autorità [19] –, per il quale in cui furono interpellati, fra gli altri, egli stesso e Mariano Socini iuniore : intorno agli stessi puncta da argomentare l’esposizione dell’Alciato non arriva alla metà di quella del Socini [20]. La « brevità » alciatea può riassumersi nell’obiettivo di puntare direttamente « alla gola del problema » (ad iugulum causae), con una valutazione diretta della fonte giuridica idonea a risolvere il dubbio proposto al giurista.

17. Alcuni modelli di questi responsi « umanisti » si trovano pubblicati in una sezione del quinto libro della raccolta postuma dei consilia dell’Alciato. Nella prefazione del quinto libro l’editore della raccolta, Francesco Alciato – giurista, ecclesiastico e parente di Andrea – raccontò vivacemente la genesi e il progressivo fallimento della proposta alciatea – forse « utopistica » – di rivoluzionare radicalmente la struttura dei consilia sapientis pro veritate, riportandoli al più virtuoso archetipo romano. Questo itinerario fu scientifico ed esistenziale ad un tempo, e si svolse in tre tappe, secondo l’autorevole testimonianza di Francesco Alciato, intimo di Andrea, di cui ricorda talvolta anche conversazioni personali in cui egli inveiva contro la proliferazione dell’attività consulente con toni ben più drastici di quelli usati nelle sue opere a stampa [21].

18. L’Alciato – in quanto giurista umanista con forte passione civile, che cercava nel passato soluzioni ai problemi del presente – si era inizialmente proposto di riprendere lo stile di redigere consilia proprio degli antichi giuristi romani e dei glossatori del XII-XIII secolo, che erano consultati per lettera e per lettera di risposta concisamente esprimevano la propria opinione sulla base dei principi del diritto [22]. L’Alciato proponeva un consilium umanista antico e moderno, così come gli umanisti intendevano proporsi come antichi e moderni. Tuttavia si rese conto ben presto che giudici e avvocati non amavano affatto questo stile, considerandolo, per la sua pur elegante concisione, troppo oscuro. I critici erano soliti esortarlo a « scrivere più da ignorante ma più chiaramente » (indoctius loquare sed apertius) [23].

19. L’Alciato era uomo ragionevole e pragmatico. Secondo Francesco decise di venir meno a uno dei suoi due obiettivi e di riprendere la struttura dialettica dei responsi tradizionali, proponendone due riforme : l’uso di una lingua latina più dotta e articolata ; la limitazione delle auctoritates e comunque la loro formale espulsione al di fuori del testo, nelle note a margine. Effettivamente l’Alciato si era attenuto a questa seconda regola anche nelle sue opere dottrinali. Egli stesso ricorda con ironia le critiche suscitate dalla pubblicazione del commentario Ad rescripta Principum proprio per tale innovazione editoriale [24]. Il fine era quello di dimostrare con piena evidenza che quello che veramente importava era la razionalità e la fondatezza del discorso giuridico e non la mera allegazione delle citazioni di autorità dottrinali.

20. Pare che anche questa più modesta riforma fosse ferocemente criticata dagli ambienti forensi del tempo [25]. L’Alciato non era affatto insensibile ai guadagni anche se derivanti dai consilia [26], e quindi, al fine di non perdere tutte le cause per una sua pretesa oscurità, decise di rinunciare ai suoi propositi riformisti e di adattarsi per intero allo stile dei responsi del suo tempo. Si limitò soltanto a rifiutarsi sempre, fino alla morte, di consentire alla pubblicazione dei suoi consilia in una raccolta, considerando tale operazione – come abbiamo già visto – contraria al pubblico interesse [27].

21. Non sempre questi auspici post mortem vengono rispettati. I consilia alciatei furono pubblicati comunque [28]. Ancora nella prefazione al libro quinto, Francesco Alciato scriveva di aver deciso di pubblicare a futura memoria i responsi ‘umanisti’ proposti invano da Andrea [29] : i barbari tribunali del tempo non li avevano apprezzati, ma forse li avrebbero amati i futuri operatori del diritto [30].

Notes

[1] Vastissima è la bibliografia sui consilia. Si possono consultare G. Kisch, Consilia. Eine Bibliographie der juristischen Konsiliensammlungen, Basel, 1970 ; M. Ascheri, « Konsilien-sammlungen-Italien », Handbuch der Quellen und Literatur der neueren Europäischen Privatrechtsgeschichte, H. Coing (hg.), II. 2, München, 1974 ; Consilia im spaten Mittelalter : zum historischen Aussagewert einer Quellengattung, I. Baumgartner (hg.), Sigmaringen, 1995 ; U. Falk, Consilia : studien zur Praxis der Rechtsgutachten in der frühen Neuzeit, Frankfurt am Main, 2006 ; G. di Renzo Villata, « Tra consilia, decisiones e tractatus : le vie della conoscenza giuridica nell’età moderna », Rivista di storia del diritto italiano, 2008, passim.

[2] Sulla nota polemica si è soffermato in particolare da ultimo G. Rossi, « Teoria e prassi nel maturo diritto comune : la giurisprudenza consulente nel pensiero di Tiberio Deciani », Tiberio Deciani (1509-1582) alle origini del pensiero giuridico moderno, M. Cavina (cur.), Udine, 2004 (ed ivi i più aggiornati studi sulla figura del Deciani).

[3] A. Alciatus, Parerga, Opera, VI, Lugduni, 1560, XII. 12.

[4] Cf. V. Piano Mortari, Diritto, logica e metodo nel sec. xvi, Napoli, 1978.

[5] Cf. L. Lombardi, Saggio sul diritto giurisprudenziale, Milano, 1967.

[6] A. Alciatus, Oratio Ticini habita, Opera, VI, Lugduni, 1560, 325 r.

[7] In una adnotatio a C. Ruinus, Repetitio §Cato l. iiii de verbo. obli. [in florentissimo Patavino gymnasio edita MCCCCCII], Venetiis, 1506, s. p.

[8] Fu questa una ragione molto concreta del successo delle communes opiniones come dimostrò già W. Engelmann, Die Wiedergeburt der Rechtskultur in Italien durch die wissenschaftliche Lehre, Leipzig, 1938.

[9] H. Zanchus, Adnotationes ad consilia diversorum qui de iure responderunt, Venetiis, 1577.

[10] P. Perremutus, Conflictus iureconsultorum inter sese discrepantium, I-III, Panormi, 1662.

[11] Cf. M. Cavina, Carlo Ruini. Una ‘autorità’ del diritto comune fra Reggio Emilia e Bologna, fra XV e XVI secolo, Milano, 1998.

[12] Nella sua adnotatio a C. Ruinus, Consilia sive responsa, Venetiis, 1579, adn. ad l. 3 c. 32.

[13] T. de’ Bianchi [detto de’ Lancellotti], Cronaca modenese, C. Borghi (cur.), III, Parma, 1865, 35.

[14] Intorno all’Alciato la bibliografia è vastissima ma sulla sua vita è ancora fondamentale P. E. Viard, André Alciat (1492-1550), Paris, 1926, ma vedi da ultimo G. Rossi, « Andrea Alciato », Enciclopedia Italiana. Il contributo italiano alla storia del pensiero. Ottava appendice, P. Cappellini et alii (cur.), Roma, 2012, p. 106-109.

[15] A. Alciatus, Parerga, op. cit., IX.14.

[16] Cit. in F. Carpintero, « Mos italicus, mos gallicus y el humanismo racionalista. Una contribución a la historia de la metodologia juridica », Jus Commune, 1977, p. 138.

[17] Cf. M. Cavina, « Indagini intorno al mos respondendi di Andrea Alciato », Rivista di storia del diritto italiano, 1984, p. 211-215.

[18] Si tratta di espressioni come Paucis agendo et omissa disputatione…  ; Summarie procedendo…  ; Pro more meo breviter agendo

[19] Sul tema cf. M. Cavina, Il duello giudiziario per punto d’onore. Genesi, apogeo e crisi nell’elaborazione dottrinale italiana (secc. XIV-XVI), Torino, 2003 ; Id., Il sangue dell’onore. Storia del duello, Roma-Bari, 2005.

[20] Cf. M. Cavina, « Indagini intorno al mos respondendi di Andrea Alciato », op. cit., p. 238-248 (e ibidem per altri esempi comparativi), ma (in traduzione italiana) cf. Duello fatto di latino italiano a commune utilità. Tre consigli appresso della materia medesima uno de ‘l detto Alciato, gl’altri de lo eccellentissimo e clarissimo giurisconsulto M. Mariano Socino, Vinegia, 1552.

[21] F. Alciatus, « Prefatio ad librum quintum », A. Alciatus, Responsa, Venetiis, 1575, dove ad esempio ricorda : « haerent quippe memoriae verba toties ab illius audita ore, cum privatum hac de re declamaret, et in tempora, moresque seculi nostri acriter, ut quandoque solebat, inveheretur. Quantacunque scilicet, corruptela nostrae inesset iurisprudentiae, totam ex turbida colluvie responsorum, quae vulgo dixere consilia, velut ex quadam sentina perversarum opinionum prorupisse, ob id forsan publice expedire augustali edicto illa abrogari, non aliter ac olim longae, et inextricabiles legum ambages Iustiniani decreto antiquatae fuerunt […] et certe alioqui iuris nostri scita, sui acumine ingenii, aut [moderni respondentes] cimmeriis (quod dicitur) involverunt tenebris […] aut in quamcumque voluere partem, tanquam caerea distorserunt a communi tutaque orbita aberrantes prorsus et per avia periculosaque diverticula vagantes, denique adeo praefracte limites rectas transilientes, ut non tam de iure respondisse, quam ius novum pro arbitrio suis condidisse argutiis, legesque (ut libuit) modo fixisse, modo refixisse viderentur ».

[22] Per un esempio si veda A. Alciatus, Responsa, op. cit., l. 5, c. 1 « Acerbus Alciato salutem. Titius mihi in emphyteusim villam suam dedit, in eius villae parte dimidiam alium ego, ipso Titio consentiente, in emphyteutam constitui, is cum alienare meliorationes suas vellet, cuilibet nostrum denuntiavit, ut si centum aureis, quod pretium ab alio sibi oblatum asserebat, emere eas vellemus, intra duo menses responderemus, si vero iure municipali, quo qui communionem in re, vel quota eius portione habent, pretio duorum aestimatorum arbitratu constituendo, caeteris praeferuntur, comparare villam desiderabamus, intra mensem sententiae eum nostrae certiorem faceremus. Huis Titius respondit nolle se emere : at ego empturum me arbitratu aestimatorum asserui, qui nonaginta aureis meliorationes eas censuerunt, sicque mihi traditae sunt. Nunc me Titius in ius traxit, et cecidisse a iure meo allegat, peto a te quid censeas ?Alciatus Acerbo S. Potest quidem Titii intentio iusta videri, quoniam ipse caeteris omnibus aequali in pretii causa praeferendus est, unde priusquam villam secundus emphyteuta XC. aureis tibi venderet, an eo pretio emere vellet. Titius admonendus fuit. Nec enim prior denuntiatio sufficit, quae maius pretium rei constituit, idque nemo est qui non crederet, ipse tamen cum tibi tuus emphyteuta vendidit, non opinor debuisse quicquam priori domino denuntiari. Fit enim denuntiatio, ut consulatur domino, quia alias actione aliqua personali emptorem convenire non posset, Bar. in duo fratres in X. quaest. de verbor. obli., at tu satis poteras conveniri, qui ab eo totius villae nomine emphyteuticu acceperas, quod et in pluribus emphyteutis invicem ius suum dividere volentibus responsum frequentius est. l. voluntas C. de fideicommiss ».

[23] F. Alciatus, « Prefatio ad librum quintum », op. cit., « constat quippe veteros illos iureconsultos qui romano florente imperio vixere, solitos ab amicis clientibusque suis per epistolas de iure consuli itidemque per epistolas sua illis responsa iuris reddere […] Hunc ergo praeclarum maiorum morem, et latinae linguae maiestate dignum, tenendum sibi, atque imitandum noster proposuerat Alciatus, eiusque exempla aliquot confecerat, ut sensim in forum illius usum induceret, et caeteros ad observationem alliceret ».

[24] A. Alciatus, Parerga, op. cit., IV. 7.

[25] F. Alciatus, « Prefatio ad librum quintum », op. cit., « Verum posteaquam rescivit iudicibus, forensibusque actoribus hunc non placere, quia brevitas illa tam elegans mentibus suis obscuritatem nimiam pareret, necesse habuit posthabere illum, ne male in forum audiret, sic paulatim ab illo deflectens ad alium transiverat, coeperatque eo modo responsa dare, quo commentaria scribere solebat, in utranque scilicet partem, ut alii quoque consuevere, pluribus argumentis ventilato articulo, sed paulo latinioribus verbis, et extra orationis contextum proiectis in marginibus citationibus locorum ».

[26] Cf. M. Cavina, « Indagini intorno al mos respondendi di Andrea Alciato », art. cit., passim.

[27] F. Alciatus, « Prefatio ad librum quintum », op. cit., « Sed cum et hunc morem non plane omnibus, praesertim impoliti ingenii viris arridere intellexisset, statuit tandem scoenae (quod aiunt) prorsus subservire, et per omnia communi cum caeteris nostri saeculi iureconsultis modo, responsa scribere, inde factum, ut quam plurimae loquutiones ex trivio sumptae, nec sat probatae classicis auctoribus, in eius legantur responsis, quod sciens prudensque admisit, ne sibi obiiceretur, quod nimium latine loquendo ab idiotis iudicibus minus intelligeretur, ob id clientum suorum causas perderet ».

[28] Sulle vicende editoriali della raccolta di consilia dell’Alciato cf. M. Cavina, « Indagini intorno al mos respondendi di Andrea Alciato », op. cit., p. 224-238.

[29] Per un altro esempio si veda A. Alciatus, Responsa, l. 5, c. 4 « Cum in bellis civilibus captivitatis nulla sint iura […] id tamen plerunque propter incertitudinem in controversiam deducitur, quaero igitur a te ut certius aliquid mihi respondeas. Alciatus respondit, varia in iure hac de re argumenta assumuntur. Et videretur universae quoque facultatis aestimationem peti posse,mcum consitutum sit, nisi filius etiam universis rebus paternis, captum ab hostibus patrem redemerit, iuste exharedari. Sed hoc diversum est, debuit enim filius patrem ipsum sibi chariorem ducere, quam eius facultates. Sentio itaque non ultra trientem bonorum ipsius extorqueri posse, cuius rei, exemplo legis Papiae, constitutionisque Iustiniani ad hanc rem pertinentis, admonemur, qui patrono in liberti bonis (et huic enim sicuti et capto salvam libertas est) non aliud ius contra liberti voluntatem concessit, quam ut, eo sine liberis defunto, tertiam partem avocaret ».

[30] F. Alciatus, « Prefatio ad librum quintum », op. cit. , « nolui tamen ego interire illius perelegantis formulae exempla, ea sane ratione motus, ac spe bona ductus, quod etsi nostris temporibus illa foro recepta non fuerit, nihilominus placitura sit eruditis omnibus, et vere doctis viris, aliquorum etiam studiosorum iuvenum excitatura animos, ut sua ad imitationem ingenia convertant, et forsan id efficient, ut quae responsorum forma nostra est aetate reiecta, succedentibus melioribus temporibus passim demum laudetur, recipiatur, frequentetur tanquam scientiae nostrae conducibilior, et minus humanas mentes refatigans, quam barbarus ille et verbosus nimis neotericorum in respondendo modus, hic igitur perpolita illa iuris response collocare volui, ut si qui tales, quales opto, emergant viri habeant hic parata exemplaria, ex quibus suas consimiles ducant figuras ».

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